Sapete una cosa?
adoro comprare articoli del cosiddetto "equo e solidale".
"equo e solidale", articoli venduti rispettando le esigenze di fabbricazione etica e di giusto guadagno dei lavoratori che li producono, quasi sempre abitanti di aree del terzo mondo: abiti in tessuti naturali realizzati da sarti vietnamiti pezzenti, saponi al profumo di sandalo impastati da invalidi cingalesi, cioccolatini al guaranà e menta himalayana (d'uno schifo, poi) di pasticcieri rhodesiani sordi (hai voglia a dirgli che fanno cagare...).
Acquistare questi prodotti mi fa sentire a posto con la coscienza, in qualche modo.
Ma non abbastanza, ancora.
Ed ecco perchè mi sto appassionando dei prodotti del mercato "equo, solidale e vendicativo".
Di solito i palloni da calcio dell'equo e solidale si evita di farli cucire dai bambini del terzo mondo, sfruttati e maltrattati.
Nell'"equo, solidale e vendicativo" si fà di più: si evita di farli cucire da bambini africani o indiani, per farli cucire da bambini finlandesi (di un paese ricco e civile), in modo da espiare le colpe del mondo industrializzato.
Non è un abominio: durante i turni di lavoro di 16 ore ci sono delle pause di un quarto d'ora ogni 2 ore.
Pausa che viene utilizzata per evitare che vengano i crampi alle braccia dei pregiudicati pakistani appositamente pagati per frustare i bambini: la violenza di queste persone di colore sui piccoli biondi nordici accelera il processo di perequazione.
Non è proprio un ragionamento gandhiano, ma ha comunque la sua nobile logica nel contrappasso dantesco.
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